Accesso:
Al Lago del Telessio si arriva percorrendo fino al fondo la strada che risale il Vallone del Piantonetto, dalla Frazione Rosone di Locana. Al termine, dove si trovano i fabbricati dell’impianto IREN, è ubicato il parcheggio per gli automezzi.
Descrizione:
Passando a lato del paramento della diga si costeggia il Lago di Telessio, superando alcuni residui di valanghe che negli anni nevosi si conservano durante l’estate, entrando in acqua.
Lo sfruttamento delle risorse idriche a fini energetici nella Valle Orco ha rilevanza storica, infatti i progetti per la produzione di energia elettrica a favore della Città di Torino risalgono all’inizio del XX° secolo. Nel 1931 vi fu l’inaugurazione della grande diga di Ceresole Reale, alla presenza del Principe ereditario Umberto di Savoia.
Leggi tutto La costruzione della diga fu terminata nel 1959, creando un invaso totalmente artificiale; prima della costruzione della diga il Torrente Piantonetto qui scorreva con numerosi meandri nel vasto pascolo del Pian di Telessio.
Per la costruzione delle due dighe di Telessio e Valsoera, i cui lavori iniziarono nel 1950, non esistevano le attuali strade e quindi vi era la necessità di trasportare tutto il materiale e le maestranze a quota 2.000 metri del Telessio e 2400 del Lago di Valsoera, partendo dagli appena 700 m di Rosone, disponendo unicamente delle vecchie mulattiere. La soluzione fu di costruire due funicolari, per un totale di 11 km di funivie di servizio.
Le dighe di Telessio e di Valsoera costituiscono insieme l’impianto Valsoera-Telessio. La centrale con le turbine si trova in prossimità del Lago Telessio in una grande caverna scavata nella roccia, e genera energia con l’acqua proveniente dal T. Valsoera. A valle della centrale l'acqua viene restituita nel serbatoio di Telessio, grazie al quale, nelle ore notturne, l'acqua può essere reimmessa nel serbatoio di Valsoera, così da poterla utilizzare per la produzione di energia pregiata nelle ore diurne, quando la richiesta energetica è maggiore. Contemporaneamente l’acqua in eccesso nel Telessio viene immessa in una condotta che scende alla centrale di Rosone, dove sono convogliate anche le acque della diga dell’Eugio.
L’attuale sistema del ripompaggio notturno tra Telessio e Valsoera fu studiato negli anni ’60, variando l’impostazione originaria che sfruttava la sola centrale di Rosone, sostenuto soprattutto dall’ipotesi di grandi disponibilità energetiche notturne a basso costo che allora si prevedeva potessero essere fornite dalle centrali nucleari, a quel tempo in progetto nel nostro paese. Il nuovo sistema richiese la posa di una condotta di 850 metri in galleria, al cui fianco fu realizzato un piano inclinato che permette ora, oltre alle necessarie ispezioni, anche il transito tra i serbatoi di Telessio e Valsoera, che prima poteva avvenire solamente con teleferica.
1949 inizio lavori alla diga di Valsoera 1954 ultime fasi di costruzione della diga di Pian Telessio A titolo esemplificativo, il sistema di dighe Telessio-Valsoera-Eugio con le centrali di Rosone e Telessio producono annualmente un quantitativo di energia capace di soddisfare i consumi elettrici annuali di oltre 50.000 famiglie.
1 1901-2007 un secolo di energia, dall’Azienda Elettrica Municipale ad Iride – Iride 2007
In questo tratto iniziale del percorso si deve superare l’accumulo di una frana di crollo che ha sepolto la strada, ed annualmente richiede piccole sistemazione per liberare il tracciato dai massi caduti. Si tratta infatti di fenomeni ricorrenti sotto le pareti rocciose, come mostrano le grandi falde detritiche osservabili in tutta l’alta valle. Sono fenomeni di modellamento geologico in gran parte ancora attivi, a causa della grande energia di rilievo che caratterizza tutto il bacino del Vallone del Piantonetto (e più in generale il versante canavesano del massiccio del Gran Paradiso) e dell’effetto di allentamento degli ammassi rocciosi in seguito al recente (alla scala dei tempi geologici) ultimo grande ritiro glaciale. A questi fattori si unisce la degradazione meteorica, che agisce sulla superficie esposta dei versanti rocciosi ed all’interno delle fratture. La litologia (rocce dure o tenere) e le caratteristiche dei sistemi di frattura (intensità ed orientamento rispetto alla parete rocciosa) determinano poi le caratteristiche degli accumuli detritici, in quanto a pezzatura degli elementi (più grossolana o più minuta).
La vegetazione di questo versante in dinamismo costante su suoli rocciosi, periodicamente disturbati da fenomeni valanghivi, è caratterizzata da una vasta copertura di ontano verde, (Alnus viridis) “drosa” in dialetto locale. Tali formazioni le ritroviamo frequentemente su pascoli freschi abbandonati.
Leggi tutto Si tratta di un arbusto appartenete alla famiglia delle betulacee che qui riesce a sopravvivere molto bene in quanto si avvantaggia dell’elevata umidità atmosferica e non risente della copertura nevosa, anche molto prolungata, sotto la quale i suoi rami riescono a flettersi senza spaccarsi, costituendo, allo stesso tempo, un letto di facile scivolamento per le slavine. La legna di ontano verde era, un tempo, raccolta dai pastori formando fascine da utilizzare nei camini per scaldare il paiolo nel quale si cuoceva il latte per produrre la toma.
In alcune aree limitate è possibile vedere disseccamenti parziali delle chiome degli ontani. Tali disseccamenti solitamente si limitano ad attacchi deboli su rami secondari, senza mai coinvolgere l’intera pianta. Questa patologia, la cui presenza è ormai accertata su buona parte dell’arco alpino, è stata descritta come cancro diffuso derivante dalla colonizzazione ad opera di funghi saprofiti e/o deboli parassiti dei tessuti legnosi di piante sofferenti o stressate. Il fattore predisponente sembra essere legato al mutamento climatico degli ultimi anni che, particolarmente per la diminuzione delle precipitazioni piovose e nevose, può provocare nell’ontano verde situazioni di stress, tipicamente per gli ontaneti insediati su ex-pascoli. Carenze idriche, in concorso con disseccamenti invernali per mancanza di neve, rendono possibile la colonizzazione dei funghi che portano a morte i rami e, nel caso di infezioni acute, l’intera pianta.
L’evoluzione degli alneti di ontano verde verso formazioni arboree è molto lenta, spesso bloccata dalle valanghe e dalla quota. La specie arborea che principalmente occupa la fascia altitudinale dell’ontano verde, il larice, ha infatti molte difficoltà di rinnovazione sotto l’ontano a causa della sue spiccate esigenze in luce.
Con l’ontano verde spesso troviamo il salicone (Salix caprea ), mentre nelle zone meno colpite dalle slavine riesce a colonizzare la coltre detritica il larice (Larix decidua ) insieme al rododendro (Rhododendron ferrugineum ), che con i suoi cespugli densi forma cuscini che tra giugno e luglio si ricoprono di fiori disposti a mazzetti, color rosa carico. Questa formazione, che qui si trova al suo limite altitudinale superiore, è tipica di tutte le Alpi occidentali e costituisce l’alleanza Rhododendro-Vaccinion .
Formazione ad Ontano verde nei pressi della Diga del Telessio
Il paesaggio è dominato dalle forme severe ed incombenti delle grandi pareti rocciose dal colore grigio degli gneiss del Gran Paradiso, modellate dall’intensa e geologicamente recente attività glaciale, ancora molto evidente e riconoscibile in tutto il Vallone del Piantonetto, come mostra la foto di seguito. Si possono notare i grandi circhi glaciali, che in sequenza cronologica dal basso (dove l’attività vegetativa ha già ampiamente colonizzato le superfici) verso l’alto (sotto le creste spartiacque, dove si osservano ampie coltri detritiche) testimoniano le fasi di progressivo ritiro glaciale dall’ultima avanzata. In primo piano si notano le forme montonate, lasciate dall’azione levigatrice del ghiacciaio sugli affioramenti rocciosi.
Al pianoro, in questo ambiente austero, spicca per contrasto il giallo del Rifugio Pontese, che così è possibile individuare rispetto ai colori dominanti sul verde-grigio, ancor più con la nebbia dei pomeriggi estivi.
La salita verso la Bocchetta di Valsoera, dapprima ripida e poi per lunga traversata articolata su costoni scoscesi a tratti strapiombanti sul fondovalle, consente alcuni punti panoramici verso l’alta valle del Piantonetto, e ottimi punti di visuale sulle grandi forme del modellamento geomorfologico attive e quiescenti.
Nella foto si possono osservare i grandi conoidi detritici e di valanga, l’incisione creata dal torrente che taglia il conoide creando un orlo morfologico e la relativa scarpata, le falde detritiche sotto le pareti rocciose.
Salendo, la vegetazione diviene via via più rada e discontinua, lasciando sempre più spazio agli affioramenti rocciosi. Tuttavia la sua varietà, particolarità e bellezza non diminuiscono affatto e possiamo osservare tutte le forme di adattamento e le strategie messe in atto dalle piante per sopravvivere in questo ambiente severo, quali ad esempio: ridotte dimensioni, forma a pulvino o strisciante per sfruttare meglio il calore del suolo, foglie carnose con cuticole spesse e colori particolarmente vivaci per difendersi dai raggi ultravioletti. Siamo ormai nel piano alpino, fra le specie incontrate citiamo Campanula excisa (vedi foto) endemismo delle rupi silicatiche delle Alpi Lepontine e del Canavese (G.P. Mondino , flora e vegetazione, 2007).
Affacciandosi alla Bocchetta, segnalata da un grande “ometto”, appare uno scorcio sulla Valsoera, con il Lago (artificiale) di Valsoera ed in fronte la grande sagoma scura e triangolare del Moncimour.
Leggi tutto A questa montagna si lega il ricordo della figura di Don Piero Solero (30/11/1911 – 19/11/1973), personaggio molto conosciuto in un’epoca in cui queste vallate erano ancora intensamente abitate: fu Tenente Cappellano militare presso il IV° Reggimento Alpini, poi Sacerdote a Rosone e nel Vallone del Piantonetto, valente alpinista e profondo conoscitore della montagna, che testimoniò con scritti e fotografie, raccolte nel volume “Gran Paradiso e altre montagne – Antologia alpina”, a cura di A. Camusso e M. Quagliolo - Club Alpino Italiano – Sezione di Rivarolo C.se, 1975). Sulla cima fu posata il 5/9/1976 una targa-ricordo di Don Solero a cura del Club Alpino Italiano – Sezione di Rivarolo Canavese (foto di Adolfo Camusso).
L’ambiente è anche qui tipicamente glaciale, dove piccole radure erbose occhieggiano tra estese falde detritiche apparentemente desolate,ma dove è anche possibile qualche incontro improvviso ed inaspettato!
L’attività pastorale nel Vallone di Valsoera a monte del Lago è molto modesta e si limita al pascolo brado o semibrado di un gregge ovi-caprino. D’altra parte le potenzialità sono modeste, considerata la quota elevata e l’abbondante presenza di rocce che riducono la superficie pascolabile. In passato, tuttavia, l’utilizzazione di queste zone era più intensa e gli animali monticati numerosi. Se le difficoltà ambientali riducono la disponibilità di foraggio e dunque di produzione, non si può dire altrettanto rispetto alla qualità: è infatti proprio nei pascoli d’alta quota che si producono le carni migliori ed i formaggi più saporiti, senza contare l’impareggiabile genuinità dei prodotti.
A monte del lago nell’ultimo tratto di sentiero, prima di attraversare la diga, si possono osservare alcune piccole aree umide caratterizzate da vegetazione compatta e uniforme, costituita prevalentemente da cyperacee quali giunchina (Eleocharis quinqueflora ) e vari carici, mentre il più vistoso Eriophorum scheuchzeri , con i suoi pennacchi bianco – lanosi, spicca nel verde intenso che lo circonda.
Il percorso costeggia tutto il Lago di Valsoera fino al paramento della diga, realizzato in pietra e cemento, che si percorre passando poi sotto il Rifugio Pocchiola-Meneghello, piccolo edificio aggrappato alle rocce che sovrastano il lago e ricavato con lavori iniziati nel 1977 utilizzando la struttura di una cabina elettrica dismessa.
Nella zona sono rimaste tracce ancora molto visibili del grande cantiere realizzato per la costruzione della diga, con strutture per l’alloggiamento delle maestranze e funzionali ai lavori, ormai da tempo abbandonate. Anche il presidio di guardia alla diga è stato da tempo soppresso.
Rimane conservata una cappellina, segno di un periodo di intensa presenza umana, in questo ambiente selvaggio tra rocce montonate e massi erratici.
La salita verso il Passo di Destrera, su versante ripido, presenta alcuni passaggi da affrontare con attenzione, ma offre affacci da forre aeree con viste panoramiche di grande interesse.
Al Passo di Destrera, procedendo sul punto più elevato della cresta, appare un ampio panorama, che spazia dalle cime della Valle Orco alla pianura, mentre sullo sfondo domina la sagoma triangolare caratteristica del Monviso, nelle Alpi Cozie, montagna simbolo del Piemonte.
Entrando nell’alto Vallone dell’Alpuggio, si presenta ancora un paesaggio selvaggio dominato dalle forme glaciali tipiche dell’alta Valle del Piantonetto.
Sul versante in sinistra orografica spicca illuminata dal sole una cengia che interrompe la regolarità dei canaloni, sulla quale passa il sentiero oltre il Passo dell’Alpuggio, verso la cresta spartiacque tra il Vallone dell’Alpuggio con il Vallone di Praghetta.
Nella piccola comba sotto il Passo si incontrano alcune piccole costruzioni di forma circolare create probabilmente dai pastori per ricoveri temporanei degli animali, a ridosso di grandi blocchi rocciosi di frana di crollo dalle pareti sovrastanti tra piccole radure erbose. La curiosa forma circolare è probabilmente legata alla ricerca di più agevoli tecniche costruttive, in mancanza di legname per la formazione della copertura.
Nella foto di seguito è osservabile un tratto di cresta rocciosa dal Passo di Destrera, che mostra segni evidenti dei principali sistemi di fratturazione che determinano l’assetto geologico-strutturale sia locale che a grande scala nella formazione geologica del Complesso degli Gneiss del Gran Paradiso (rappresentati nella forma ellissoide di colore blu nello schema geologico di seguito).
Scavalcando nel Vallone di Praghetta si entra nel Complesso dei Calcescisti (rappresentati con la fascia di colore giallo nello schema geologico di seguito), che comprende litologie completamente differenti, principalmente calcescisti e pietre verdi, dai colori più scuri, generalmente meno resistenti all’azione degli agenti superficiali, e di conseguenza muta completamente la morfologia, che prende forme nel complesso meno aspre, come mostra la foto panoramica di seguito.
Schema geologico tratto da "Structural Model Of Italy” (CNR, 1990)